IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento penale n. 4/34/03 a carico di Marynowski Konrad arrestato il 28 settembre 2003 per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, perche', come da contestazione del p.m. non ottemperava all'ordine di lasciare il territorio nazionale emesso dal Questore di Napoli e condotto dinanzi a questo giudice in data odierna per la convalida dell'arresto e la celebrazione del contestuale giudizio con il rito direttissimo; Vista l'eccezione di incostituzionalita' sollevata dalla difesa in ordine all'indicata norma, laddove e' prevista l'immediata esplusione dello straniero rimesso in liberta' nell'ambito di un procedimento de quo, per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione; Sentito il parere conforme del p.m.; O s s e r v a La fattispecie di cui all'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286/1998, cosi' come modificato dalla legge 189 del 30 luglio 2002, prevede che lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattiene nel territorio dello stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, e' punito con l'arresto da sei mesi ad un anno, e che in tal caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera mediante forza pubblica. Con la novella e' stata, dunque, introdotta la possibilita' di procedere a privazione della liberta' personale con riferimento ad ipotesi contravvenzionali, ed in particolare e' stata introdotta la previsione dell'obbligatorieta' della misura dell'arresto a fronte di una violazione di norma contravvenzionale, come nel caso in esame di cui all'art. 14, comma 5-ter. In detta ipotesi l'arresto e' obbligatorio, occorre verificare solo se sussistono i gravi indizi per il titolo di reato per il quale si procede. L'adozione di un anomalo rito direttissimo «obbligatorio» a parere del giudicante remittente si presenta in contrasto non solo con il principio di uguaglianza, ma anche e soprattutto con il diritto di difesa; la norma di fatto non consente in concreto da una parte l'esercizio dell'azione penale secondo i canoni ordinamentali generali (il pubblico ministero ex art. 449 c.p.p. «se ritiene di dover procedere» puo' presentare direttamente l'imputato in stato di arresto davanti al giudice del dibattimento, cosa che potrebbe anche non accadere ove, acquisite le necessarie informazioni, sentiti i soggetti coinvolti, si renda conto che ricorrono circostanze concrete che possano in effetti far ritenere giustificata la presenza sul territorio dello Stato del soggetto arrestato straniero) e dall'altra sul pieno esercizio del diritto di difesa con la conseguente possibitita' di svolgere quelle indagini difensive (che trovano poi il loro referente e fondamento normativo nell'art. 111 della Costituzione) che potrebbero condurre l'autorita' giudiziaria a riscontrare la presenza di una serie di cause giustificative quanto alla imputazione contestata. In particolare si evidenzia il contrasto con il dettato costituzionale con riferimento agli articoli: 1) art. 3 Cost., per disparita' di trattamento perche' l'arresto e' previsto per ipotesi contravvenzionali di scarso rilievo penale essendo sanzionate lievemente. Sul punto la Corte costituzionale con decisione dell'11 marzo 1970, n. 39, gia' si e' pronunciata, dichiarando l'illegittimita' dell'art. 220 t.u.l.p.s. che prevedeva l'arresto obbligatorio in flagranza di chi contravveniva al divieto di comparire mascherato in luogo pubblico, affermando che il sistema penale prevede l'obbligatorieta' della misura restrittiva della liberta' personale solo per reati afferenti ad obiettive situazioni di singolare gravita'. 2) art. 2 Cost., con il principio di doverosita' solidarieta' politica ed economica e sociale dettato dalla Costituzione; 3) art. 27 Cost., e dunque con il principio della finalita' rieducativa della pena: le norme de quo irrogano sanzioni penali a soggetti che debbono essere immediatamente poi espulsi, dunque la pena non verra' mai eseguita. Ed invero, la normativa degli stranieri prevede che, quando lo straniero e' sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere - art. 13, comma 3 - il questore, prima di eseguirne l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorita' giudiziaria, che puo' negarlo solo in presenza di inderogabili e comma 3-bis laddove prevede che il giudice rilascia il nulla osta all'atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia in carcere ai sensi dell'art. 391 c.p.p., ovvero che ricorra una delle ragioni per le quali il nulla osta puo' essere negato ai sensi del comma 3 (esigenze processuali valutabili con riferimento all'accertamento di responsabilita' di concorrenti, o di imputati in procedimenti connessi, ovvero nell'interesse della persona offesa). Se e' vero, dunque, che il nulla osta, richiesto dal questore all'autorita' giudiziaria, puo' essere negato solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilita' di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa, e, se e' vero che, ex II comma 3-bis, in caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all'atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'art. 391, comma 5, del codice di procedura penale, o che ricorra una delle ragioni per il quale il nulla osta puo' essere negato ai sensi del comma 3, ne discende, di fatto la pressocche' automatica concessione del nulla osta a seguito di giudizio instaurato per effetto di arresto per i reati cui agli articoli in esame, attesa che la possibilita' di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 286/1998, (autorizzazione a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l'esercizio del diritto di difesa, al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali e' necessaria la sua presenza, rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta della parte offesa o dell'imputato o del difensore), come di seguito si analizzera', appare del tutto priva di contenuto se applicata al caso in esame. Appare evidente che tale disciplina contrasta con la possibilita' e il diritto costituzionalmente garantito) per l'imputato di difendersi, e dunque di fare emergere anche ed eventualmente il proprio diritto ad essere nel territorio dello Stato italiano. 4) art. 10 della Costituzione dunque in considerazione della condizione giuridica dello straniero (soprattutto ove vengano in rilievo, a seguito della applicazione della normativa censurata, lesioni di diritti e liberta' fondamentali democratiche garantite dalla nostra Costituzione, e cio' nel senso che un'immediata espulsione potrebbe portare il soggetto straniero a rientrare in uno Stato dove appunto per la sua condizione personale tali liberta' non siano attribuite e garantite), in contrasto inoltre con i piu' recenti indirizzi legislativi e di dottrina che affermano che lo Stato italiano e' tenuto a parificare la condizione giuridica dello straniero a quella dei cittadini tutte le volte che cio' non contrasti con i suoi preminenti interessi. Tale principio e' chiaramente deducibile dalla previsione di cui all'art. 10 comma secondo e comma terzo della Costituzione, che richiama la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo e il diritto all'asilo, con l'unico limite rappresentato dalla impossibilita' per lo straniero di esercitare diritti e doveri politici, ovvero situazioni giuridiche strettamente connesse alla qualita' di cittadino. Dalla applicazione di tali principi consegue il riconoscimento del diritto dello straniero a soggiornare nello Stato italiano sia alle condizioni ordinarie previste dalla legge (per effetto del rilascio del permesso di soggiorno) che in considerazione del riconoscimento di eventuale diritto di asilo (o diritto al ricongiungimento familiare o altre ipotesi previste dalla legge). Tali principi interpretativi risultano, tra l'altro, recepiti nell'ordinamento giuridico italiano anche nella previsione di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 286/1998, nonche' dall'art. 10, comma 4, d.lgs. n. 286/1998, secondo il quale le norme sul respingimento alle frontiere e sulla espulsione non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari. 5) all'art. 24, nonche' all'art. 111 della Costituzione: la rigorosa applicazione della disciplina di legge di cui all'art. 13 del d.lgs. n. 286/1998 comporterebbe una sostanziale e concreta lesione del diritto dell'imputato in un procedimento penale, qualunque sia la nazionalita' dello stesso, attesa l'immediatezza dell'espulsione, ad una piena difesa, non potendo di fatto partecipare al giudizio con il rito direttissimo attesi i tempi veloci di questi e, contra, quelli tecnicamente necessari per rientrare in Italia ex art. 17 d.lgs. in esame, (richiesta tramite ambasciata e consolato, visto della questura, etc.) e ad un giusto processo (con pieno svolgimento delle funzioni connesse alla difesa). Paradossalmente all'arrestato straniero nei cui confronti si procede il giudizio dicessimo converrebbe essere sottoposto alla misura cautelare, che garantirebbe la partecipazione al processo e quindi l'esercizio del diritto di difesa. Ma vi e' di piu': per quanto paradossale ed emblematica tale intrpretazione possa apparire, comunque rimarrebbero fuori da ogni e qualsiasi tutela gli arrestati per le ipotesi contravvenzionali, come nel caso de quo per le quali, per definizione non e' applicabile alcuna miura, e per le quali appunto il cittadino straniero non puo' che essere espulso. 6) contrasta con l'art. 111 della Cost. diritto ad avere un giusto processo. 7) ed ancora contrasto, con l'art. 3 della Costituzione, in relazione al disposto di cui agli art. 5, comma 4 e 6 della legge n. 848/1955 (ratifica della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali), che appunto prevedono il diritto per ogni persona privata della propria liberta' con un arresto a presentare un ricorso davanti ad un tribunale affinche' decida sulla legittimita' della sua detenzione, ed ancora il diritto a che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole da parte di un tribunale indipendente e imparziale costituito dalla legge quanto al fondamento di ogni accusa penale. Di fatto la norma introduce nel nostro ordinamento positivo un caso di restrizione della liberta' personale sia nell'ipotesi dell'arresto facoltativo che in quella dell'arresto obbligatorio) che non trova il suo naturale sbocco nel vaglio giurisdizionale e nell'esercizio dell'azione penale, che viene invece sostituita da una pronunzia di non luogo a procedere, conseguente alla avvenuta esecuzione della espulsione che consegue dal rilascio, obbligatorio e sostanzialmente automatico, del nulla osta da parte dell'autorita' giudiziaria. Il decreto di espulsione e' invero immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa. L'espulsione e' eseguita dal questore che, se lo straniero e' sottoposto a procedimento penale, chiede il nulla osta all'autorita' giudiziaria, che puo' negano solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate solo in relazione all'accertamento della responsabilita' di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e nell'interesse della persona offesa (comma 3). Ed il nulla osta si intende concesso qualora l'autorita' giudiziaria non provvede nel termine di giorni quindici dalla data di ricevimento della richiesta. Nel caso di arresto in flagranza il n.o. e' concesso all'atto della convalida, salvo che si applichi la misura cautelare della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'art. 391, comma 5, c.p.p., e che ricorra una delle ragioni per cui il n.o. puo' essere negato ex comma 3. L'evidente incostituzionalita' della norma, con riferimento alle ipotesi di giudizio con il rito direttissimo instaurato per effetto della violazione dell'art. 14, comma 5-bis e ter, e' stata gia' messa in evidenza: il nulla osta, di fatto obbligatorio per l'autorita' giudiziaria, va dato all'atto della convalida che, dunque, sara' privato del diritto di presenziare al dibattimento celebrato con il rito direttissimo, posto che l'espulsione deve essere immediatamente eseguita, e che, per rientrare in Italia ed esercitare il diritto di difesa garantito (formalmente dall'art. 17 del d.lgs., necessita l'adempimento di formalita' burocratiche. Ne consegue che per quanto sopra motivato, apparendo le questioni proposte rilevanti ai fini del decidere, con particolare riferimento alla possibilita' di garantire all'imputato l'esercizio del diritto di difesa presenziando al dibattimento celebrato con il rito direttisimo, e apparendo tali questioni non manifestamente infondate, ritiene questo giudice di dover rimettere gli atti alla Corte cotituzionale per le valutazioni di competenza.